“La verità… arriva quando vuole? La verità..”

Un giorno, non ricordo però quale giorno, un tale mi ha detto che per raccontare qualcosa bisogna prima averlo realmente vissuto in prima persona. Quel qualcosa, intendo. 

Io, nel sentir l’affermazione, ho obiettato quasi indispettito e ho risposto che no.. non è così.. non è per forza così. Per difendere la mia causa ho argomentato che si può raccontare d’amore, di sogni, di sciagure, di drammi.. senza averli vissuti sulla propria pelle. O per lo meno non tali e quali.

“Ah ah ah” la risposta del tale di fronte a tale argomentazione, sorridendo ironico e ripetendomi per ben due volte “ingenuo“. 

“Che hai da ridere?” (questo sono io, sicuro di me!). D’altronde avevo scritto molto negli anni addietro. Su taccuini, su fogli da disegno e col passare del tempo con la macchina da scrivere o sul computer. Avevo scritto e scritto, raccontato storie su storie che non avevo certo vissuto. Lui, di contro, trovando cotanta sicurezza in me: “Hai mai giocato a pallone? Intendo seriamente.. non nel piazzale sotto casa tirando contro il muro..” “Certo che ho giocato” sottolineandolo anche con un pizzico d’orgoglio “non a livelli importanti ma ho giocato” (ma che cazzo di domanda mi fa?)

“Sapresti raccontare la storia di un calciatore?”

“Così? Su due piedi? Intendi.. ora?” “Sì, sì, brontolone”. “Dunque, può essere la storia di un ragazzo disagiato che vive in un quartiere difficile, di periferia, che si salva grazie alla sua passione. Va a giocare in una grande squadra e…” vengo interrotto..”E scommetto che poi mi racconti che trova l’amore e tutti vissero felici e contenti. Già sentita..”. “Forse l’avrai anche già sentita.. ma io non la conosco.. non conosco alcun calciatore..”. “Infatti fa cagare la tua storia”. Sentenzia lui.

Avevo capito che voleva provocarmi. A questo punto le alternative erano tre. 1: andarmene via (si fotta costui, manco lo conosco). 2: stare al gioco e andare avanti. 3: dargli un cazzotto.

Avevo optato per la seconda, restando nel gioco. Tenendomi però la carta del cazzotto per il finale. 
“Avanti, chiedimi altro, te ne tiro fuori un’altra di storia. Ora!” la sfida lanciata.

“Parlami della verità. Una storia sulla verità”.

Ma che cazz.. Va beh, d’altronde me l’ero anche un po’ cercata. Dopo alcuni tentennamenti tirai un gran respiro ed iniziai a parlare di una giovane donna che aveva fatto qualche cazzata nella vita, che aveva vinto qualche scommessa ma perse altrettante,  sempre e solo per il desiderio di essere felice. Quella donna però, nonostante le difficoltà e le scelte (giuste o sbagliate che fossero), mai comunque facili, aveva cercato di non perdere mai la testa e mai l’aveva abbassata. Tenendo ben custodite dentro di sé, come segreti, tutte le sue debolezze. Fino a quando un giorno arrivò l’amore. Inaspettato. Quello con la “A” maiuscola. E per amore mentì. Mentì sulle sue debolezze. Mentì sulle sue difficoltà. Mentì perché sapeva che la verità di una donna fragile avrebbe fatto scappare quell’amore tanto desiderato”.

“Il finale amico, voglio il finale”.

“Il finale non c’è ancora”.

Mi abbraccio’ perché aveva capito che quella donna ero in realtà io.

“Come hai fatto a capirlo?” “Perché se fossi riuscito a raccontarmi una storia inventata su due piedi con tema la verità, saresti ora uno scrittore“.

“La verità arriva quando vuole, la verità non ha bisogno mai di scuse” (cit. V.R.)